Le relazioni integrali in Italia dalla caduta del fascismo alla concertazione" permette di avere una panoramica sullo sviluppo del dialogo tra sindacati e imprenditori in Italia.
I temi trattati si soffermano sulla risposta sindacale, in primis operaia, ai cambiamenti della società e dei lavoratori.
Ci si sofferma sulla nascita dei tre principali gruppi sindacali, cgil, cisl e uil, non dimenticando le sigle storiche: confida, ana, confagricoltura e coldiretti, intersind.
In particolare si illustrano poi i principali congressi dei sindacati che cercano di rispondere alle alterne fasi dell'economia italiana.
Relazioni tra sindacati e imprenditori in Italia dal fascismo ad oggi
di Cristina De Lillo
Questo riassunto del libro "Sindacati e imprenditori. Le relazioni integrali in
Italia dalla caduta del fascismo alla concertazione" permette di avere una
panoramica sullo sviluppo del dialogo tra sindacati e imprenditori in Italia.
I paragrafi si soffermano sulla risposta sindacale, in primis operaia, ai
cambiamenti della società e dei lavoratori.
Ci si sofferma sulla nascita dei tre principali gruppi sindacali, cgil, cisl e uil, non
dimenticando le sigle storiche: confida, ana, confagricoltura e coldiretti,
intersind.
In particolare si illustrano poi i principali congressi dei sindacati che cercano di
rispondere alle alterne fasi dell'economia italiana.
Università: Università degli Studi di Bari
Facoltà: Scienze Politiche
Esame: Storia del movimento sindacale
Titolo del libro: Sindacati e imprenditori. Le relazioni integrali in
Italia dalla caduta del fascismo alla
concertazione
Autore del libro: S. Rogari1. Alle origini del sindacato nuovo
Nel gennaio del 1927 venne posto in essere lo scioglimento del comitato direttivo della CGDL e questo
determinò la definitiva liquidazione del sindacalismo libero nell'Italia fascista. In effetti, il sindacalismo
libero era in difficoltà già da molto tempo.
Dal punto di vista contrattuale il monopolio del sindacato fascista era stato stabilito dal patto di Palazzo
Vidoni nel 1925, stipulato da CONFINDUSTRIA e la Confederazione dei sindacati fascisti presieduta da E.
Rossoni.
Con la legge del 1926 venne stabilita la validità erga omnes dei contratti di lavoro stipulati dai sindacati
fascisti, con il completo monopolio della contrattazione collettiva da parte del regime fascista.
La CGDL si sciolse in un clima di difficile sopravvivenza per vari motivi: le difficoltà incontrate dai
sindacalisti a seguito della costituzione della dittatura, l'impossibilità di svolgere alcuna attività dal punto di
vista contrattuale, per l'opposizione politica al regime e a seguito dell'atteggiamento filo fascista di alcuni
dirigenti come Rigola e D'Aragona. In questo clima B. Buozzi segretario generale della CGDL (già
segretario della FIOM, sindacato degli operai metallurgici) decise con altri sindacalisti riformisti di scegliere
la via dell'esilio in Francia.
Nel 1927 Buozzi partecipa alla fondazione a Parigi della Concentrazione antifascista con altri esponenti
politici oppositori del regime.
Oltre alla CGDL scomparvero altre organizzazioni sindacali: la CIL Confederazione italiana dei lavoratori
di ispirazione cattolica (insediata nell'ambito rurale con la perdita di numerosi aderenti a seguito della
diffusione del fascismo nelle campagne), la UIDL unione italiana del lavoro di ispirazione rivoluzionaria e
repubblicana e l'USI unione sindacale italiana, scomparvero a seguito delle pressioni e dell'attrazione
esercitata dal fascismo.
Il destino del sindacalismo cattolico fu la dispersione e esso si riaffermò solo nel 1944 con la nascita delle
ACLI (associazioni cattoliche dei lavoratori italiani).
Il sindacalismo riformista socialista si ricostituì all'estero durante il regime fascista senza riuscire a svolgere
una reale attività di proselitismo clandestino nel nostro paese.
La CGDL fu, negli anni che precedettero il fascismo, una grande organizzazione di classe con un
orientamento maggioritario riformista nonostante le spinte rivoluzionarie che si fecero più intense a seguito
della nascita della nascita del Partito comunista nel 1921 a Livorno (dopo la scissione dal partito socialista).
I comunisti dopo lo scioglimento della CGDL, la ricostituirono nella clandestinità in diretta dipendenza dal
partito che aveva sede a Parigi. Così dal 1927 al 1936 si realizzò una particolare situazione: da un lato c'era
la CGDL nella sua continuità ideale e politica a Parigi guidata da Buozzi con scarsi contatti con l'Italia,
dall'altro c'era la rete sindacale clandestina comunista che, nonostante il regime fascista, riuscì a
sopravvivere. I rapporti fra le due organizzazioni furono a lungo conflittuali fino al 1936 quando le due
CGDL si riunificarono grazie all'accordo fra Buozzi e il comunista G. Di Vittorio tenutosi a Parigi. Nel
frattempo miglioravano anche i rapporti fra il partito socialista e quello comunista: nel 1934 fu stipulato un
patto di unità di azione, rinnovato nel 1941 a seguito dell'alleanza fra Stati Uniti, Unione Sovietica e Regno
Unito.
Per la rinascita della CGDL unitaria furono importanti anche i colloqui fra Buozzi e Achille Grandi che era
Cristina De Lillo Sezione Appunti
Relazioni tra sindacati e imprenditori in Italia dal fascismo ad oggi stato segretario della CIL sino allo scioglimento.
Cristina De Lillo Sezione Appunti
Relazioni tra sindacati e imprenditori in Italia dal fascismo ad oggi 2. Confindustria e Confagricoltura fino al 25.07.1943
Durante il regime, le organizzazioni padronali CONFINDUSTRIA e CONFAGRICOLTURA ebbero una
storia diversa.
La prima si avvicinò gradualmente al regime fascista, infatti la politica economica degli anni trenta, i
progetti corporativi e l'autarchia ottennero il favore degli industriali.
La CONFAGRICOLTURA nacque nel 1920 e dopo aver tentato invano di avere una propria rappresentanza
politica sotto forma di partito agrario nazionale (PAN), si convertì rapidamente al fascismo e ai suoi
orientamenti corporativistici (intesi come strumento di azzeramento della conflittualità nelle campagne).
Con il varo della legge sindacale del 1926, in CONFAGRICOLTURA confluirono anche la piccola
proprietà coltivatrice e l'affittanza.
l rapporti fra questa organizzazione e il regime, attraversarono fasi alterne (così come per
CONFINDUSTRIA): tutto dipendeva dalle scelte di politica economica e tributaria. Tuttavia può
considerarsi una organizzazione fortemente fascistizzata che godette quasi sempre nel ventennio fascista di
una potente base economica rappresentata dalla federazione dei consorzi agrari.
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Relazioni tra sindacati e imprenditori in Italia dal fascismo ad oggi 3. I sindacati e la crisi del fascismo 1943
A partire dal 1941 iniziò la crisi del regime fascista, impegnato in una guerra senza disporre di risorse
adeguate e capacità militari.
Nel marzo del 1943 vi furono scioperi che interessarono le industrie del Nord Italia: si trattava di scioperi
economici diretti ad ottenere l'indennità di fine anno e di sfollamento a causa dei disagi provocati dai
bombardamenti. Gli scioperi ebbero una dinamica spontanea e dimostrarono che il mondo del lavoro era in
contrasto col regime fascista.
Caduto il regime nel luglio del 1943, il governo Badoglio abolì la Camera dei Fasci e delle Corporazioni
nonché tutti gli organi corporativi.
Determinante fu l'incontro fra l'ex segretario della CGDL Buozzi e il nuovo ministro delle corporazioni L.
Piccardi, dal quale scaturì il commissariamento dei sindacati fascisti: Buozzi prese la guida dei lavoratori
dell'industria, Grandi divenne commissario dei lavoratori dell'agricoltura e a Di Vittorio fu riconosciuta la
responsabilità dei braccianti agricoli scorporati dal sindacato dei lavoratori agricoli.
I vecchi sindacati fascisti, pertanto, restavano in piedi con dei commissari che avevano il compito di
trasformarli in strutture sindacali conformi alla nuova democrazia.
Furono commissariate anche le organizzazioni padronali: CONFINDUSTRIA a G. Mazzini e
CONFAGRICOLTURA a F. Visconti da Modrone. Si trattò di un passaggio da uomini di regime a
tecnocrati di ispirazione liberale o cattolica, ma che non assumevano la carica su designazione del partito.
Le nomine al vertice dei sindacati dei lavoratori, invece, avvennero su precisa indicazione dei partiti,
affermando così il modello di dipendenza del sindacato dal partito che sopravviverà sino alla crisi del
sistema politico italiano dei primi anni '90.
Prima del fascismo, il sindacalismo libero si nutriva di un rapporto diretto con i lavoratori, che spesso non
erano politicizzati, ma la discesa nella clandestinità o la via dell'esilio fecero prevalere le ideologie di partito
a danno delle ascendenze sindacali. Si affermò il principio della dipendenza del sindacato dal partito, per i
socialisti e ancor più per i comunisti, infatti per il PCI, il sindacato doveva sviluppare nelle masse la
coscienza di classe e tenerle legate alle linee del partito.
Questa dipendenza fu confermata dalle condizioni storiche, e lo stesso commissariamento recepiva il
modello centralizzato di organizzazione fascista che trovò conferma nella costituzione del sindacato unitario
nel 1944 che a sua volta favorì il consolidamento di tale dipendenza.
Durante il commissariamento ci fu l'accordo Buozzi-Mazzini nel 1943 che decretò la nascita delle
Commissioni Interne (CI) nelle imprese industriali con più di 21 dipendenti, mentre in quelle con un numero
di dipendenti compreso tra 5 e 20 venne introdotta la figura del fiduciario di impresa che riecheggiava la
stessa figura introdotta nel periodo fascista.
Le CI avevano compiti importanti come la risoluzione delle controversie collettive. e la stipulazione dei
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Relazioni tra sindacati e imprenditori in Italia dal fascismo ad oggi contratti collettivi. Esse erano espressione della democrazia sindacale: l'elettorato attivo e passivo era
rappresentato da tutti i lavoratori dell'impresa. Esse, inoltre, costituivano il punto di raccordo tra la periferia
ed il centro del sindacato. Si trattò, però, di un accordo privo di efficacia visto che non ebbe alcuna
applicazione a seguito di quanto accaduto dopo 1'8 settembre 1943.
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Relazioni tra sindacati e imprenditori in Italia dal fascismo ad oggi 4. Verso il patto di Roma
Il primo passo verso il Patto di Roma fu rappresentato dal!'accordo nell'estate del 1943 tra tutte le
componenti politico-sindacali antifasciste,.con la posizione dominante del PCl, del PSIUP e della DC.
Benché ci fossero forti tensioni, la visione politica unitaria della lotta antifascista trovò un forte sostegno
nella costituzione dei Comitati di liberazione nazionali (CLN). Gli esponenti coinvolti nelle trattative furono
sei: oltre Buozzi, Roveda e Grandi, c'erano Gronchi (DC), Lizzadri (PSIUP) e Di Vittorio (PCI).
Le trattative muovevano da basi di partito anche se erano gestite da figure con un passato più o meno
rilevante dal punto di vista sindacale.
Nel gennaio del 1944 ci fu un convegno sindacale a Bari in concomitanza del Congresso Nazionale del
CLN, e in esso fallì il tentativo di varare la Confederazione unitaria: i tempi non erano ancora maturi.
Nonostante la maggiore affii1ità della componente socialista e quella comunista, le rispettive posizioni su
alcuni aspetti erano molto contrastanti. I comunisti temevano la.leadership di Buozzi che aveva avuto un
ruolo di spicco come segretario' della FIOM, nella CGDL pre-fascista e durante il commissariamento:
temevano che la componente socialista si ponesse ancora una volta a capo della confederazione unitaria e
quindi in posizione dominante nel mondo del lavoro.
Buozzi pensava- alla costituzione di un sindacato riformista con struttura decentrata dove le federazioni di
categoria avrebbero avuto una posizione di larga autonomia dal direzione
confederale. Egli riteneva, inoltre, che i contratti collettivi con efficacia erga omnes dell'epoca fascista
fossero utili nell'interesse degli stessi lavoratori e quindi dovevano essere recepiti, ma questo richiedeva la
formazione di un sindacato obbligatorio che potesse rappresentare la generalità dei lavoratori.
Buozzi era orientato verso una soluzione che avrebbe dato veste istituzionale al sindacato per altre due
ragioni: il dominio dei partiti che. avrebbe limitato l'autonomia del sindacato poteva essere riequilibrato
attraverso l'iscrizione generalizzata dei lavoratori. La seconda ragione riguarda il rapporto con i cattolici:
Grandi e Gronchi, quali portavoce del mondo cattolico e della DC, insistevano sull'esigenza di un sindacato
legalmente riconosciuto e obbligatorio come garanzia per evitare l'egemonia della componente marxista.
Inoltre, a loro avviso, nel sindacato dovevano confluire anche i lavoratori autonomi per riequilibrare la
componente comunista e socialista. Quindi la visione cattolica del sindacato era comprensiva anche dei
lavoratori autonomi affinché la confederazione avesse una struttura interclassista con il riconoscimento di un
ruolo centrale per le federazioni e non per le camere del lavoro che a lungo avevano avuto un ruolo politico.
Per i comunisti l'adesione al sindacato doveva essere libera. Al sindacato doveva essere sottratto il ruolo
istituzionale attribuitogli dal fascismo. Questo avrebbe portato a una preponderanza della componente
comunista: si pensava ad un sindacato classista e politicizzato contro i cattolici ed il sindacato interclassista
e istituzionale.
Il 13 aprile del 1944 Buozzi fu arrestato e il 4 giugno fu assassinato dai tedeschi e nelle trattative fu
sostituito da O. Lizzadri. l comunisti non intendevano escludere i cattolici dalla confederazione unitaria ma
data la loro inferiorità numerica, ritenevano di non considerare la loro concezione di sindacato.
Come si può notare le culture sindacali erano viziate da riserve mentali e da concezioni diverse ancor prima
di giungere all'unità, anche se il comune fronte della lotta antifascista nei Comitati di Liberazione Nazionale
(CNL) ne favorì la convergenza.
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Relazioni tra sindacati e imprenditori in Italia dal fascismo ad oggi 5. La nascita della CGL e della CIL
(CGL= Napoli CGIL = unitaria post-fascista del patto di Roma CGDL = unitaria pre-fascista)
L' 11 novembre del 1943, a Napoli fu costituita la CGL su iniziativa dei militanti del PCI PSIUP e P.d'A.,
ma la sua storia fu tormentata da vicende politiche complesse. La dirigenza
comunista entrò subito in conflitto con la direzione del partito guidata da E. Reale rispetto al disegno di un
sindacato che operasse in condizioni di indipendenza dal partito. Inoltre i comunisti Russo e Gentili
seguirono una linea di intransigenza sindacale che portò al rifiuto dell'intesa unitaria con i cattolici e in
particolare con la CIL (nonostante l'invito di Togliatti di seguire la politica d'unità nazionale e l' accordo con
i cattolici).
Quando si giunse al Patto di Roma, i dirigenti della CGL si resero conto della situazione di isolamento e
cercarono un' intesa con la CIL ma quest'ultima, sotto le pressioni di Grandi, che aveva firmato il Patto per
la componente democristiana, confluì nel sindacato unitario. Inoltre nell'agosto del '44 la C.d.L. di Napoli,
che era stata la base organizzativa della CGL, confluì nella CGIL unitaria: il destino del sindacato di Russo e
Gentili era segnato.
Quando la DC firmò il patto di Roma si preoccupò di allegare una dichiarazione della corrente
democristiana che affermava la loro concezione di sindacato: l'organo di base del sindacato dovevano essere
le federazioni di categoria e non si parlava delle C.d.L.; il sindacato doveva essere riconosciuto dallo Stato
come ente di diritto pubblico; il sindacato doveva essere interclassista con la presenza del ceto impiegatizio
e medio agricolo; lo sciopero dei servizi pubblici doveva essere vietato e il sindacato doveva ridurre il
bracciantato a favore della diffusione della piccola proprietà contadina.
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Relazioni tra sindacati e imprenditori in Italia dal fascismo ad oggi 6. Il patto di Roma. Nasce la CGIL unitaria
Il documento fu firmato l'8 giugno da Di Vittorio (PCI) Grandi (DC) e E. Canevari (PslUP), la data fu
anticipata al 3 giugno in onore di Buozzi assassinato all'alba del 4 giugno. Il testo
lasciava volutamente impregiudicati temi organizzativi e la stessa redazione dello statuto che potevano
alimentare il conflitto.
A garanzia delle componenti si affermava che la Confederazione era indipendente dai partiti e che la
direzione della confederazione, come quella delle Camere del lavoro e delle federazioni, sarebbero state
costituite in modo paritetico per ciò che riguarda le tre correnti sindacali fondanti.
Si trattò di una intesa precaria ma l'entusiasmo per l'unità raggiunta sormontò i dubbi iniziali. La definizione
organizzativa e degli indirizzi politici del sindacato venne durante il convegno di Napoli del gennaio 1945
dove si varò ·lo Statuto della CGIL ispirato a criteri centralistici. Il potere d'indirizzo e di controllo degli
organi centrali della confederazione rispetto alle federazioni fu definito dagli art. 53, 56, 57, 58.
La confederazione, inoltre, aveva la facoltà di intervenire nella contrattazione collettiva nazionale con
proprio rappresentanti diversi da quelli delle federazioni: l'obiettivo era dare uniformità ed equilibrio alle
rivendicazioni delle singole categorie e permettere il controllo politico centrale.
Le CI furono depotenziate: la loro attività doveva essere conforme alle direttive del sindacato. Inoltre, gli
accordi con la CONFINDUSTRIA del '47 e '53 prevedevano, per le CI, l'indebolimento del ruolo
contrattuale, di controllo dell'applicazione dei contratti nelle aziende e di promozione e gestione delle
vertenze.
Tutto ciò convergeva con le posizioni degli industriali che erano intenti ad allontanare il sindacato
dall'azienda.
Alla base di questo modello organizzativo c'era il disegno centralistico del PCI: Togliatti voleva dare al
partita una presenza forte di carattere sia politico che sindacale. Il PCI partiva dal presupposto che lo sbocco
rivoluzionario in Italia non sarebbe stato possibile per la presenza delle forze alleate e che ogni richiesta
politica o sindacale che fosse stata percepita come minacciosa avrebbe scatenato l'offensiva anticomunista:
occorreva, pertanto, esercitare un controllo sulle spinte rivoluzionarie spontanee.
Questa strategia fu resa possibile grazie alla preponderanza degli iscritti al PCI rispetto agli altri partiti nelle
maggiori aziende italiane: il PCI dimostrò un forte controllo politico della sua base e accettò gli inviti alla
moderazione nell'aspettativa dello sbocco rivoluzionario.
La corrente socialista si adattò al disegno sindacale comunista per vari motivi quali, su tutti, la debolezza
organizzativa ed il minor seguito nel movimento operaio.
Il mondo sindacale socialista era attraversato da divisioni che lo indebolivano e, una volta perso il proprio
leader Buozzi, molti socialisti vissero nel complesso di subalternità al PCI (per la forza, la capacità
organizzativa ed il mito dell'Unione Sovietica).
La corrente sindacale cristiana non gradì l'organizzazione centralistica della confederazione, ma la accettò in
quanto tale modello organizzativo aveva il risvolto positivo del controllo politico e della moderazione che i
comunisti erano determinati a difendere. Inoltre la situazione era ancora fluida visto che la liberazione e la
Costituente lasciavano aperti nuovi sviluppi per il sindacato.
Cristina De Lillo Sezione Appunti
Relazioni tra sindacati e imprenditori in Italia dal fascismo ad oggi 7. La nascita delle ACLI
Negli stessi giorni in cui nasceva la CGIL, A. Grandi e G. Pastore promuovevano la nascita delle ACLI
(Associazioni cattoliche dei lavoratori italiani).
Il compito iniziale era quello di essere un centro di ·studi e di supporto per la corrente cattolica nella CGIL
unitaria.
Quando anche negli ambienti cattolici prevalse la tesi del partito dell'unità dei cattolici, si pose il problema
dei rapporti con la DC e le gerarchie ecclesiastiche che assumevano un ruolo sempre più crescente nelle
ACLI.
I protagonisti del dibattito erano la gerarchia ecclesiastica, la componente sindacale cristiana e la DC. l
leader sindacali cercarono di guadagnare una certa influenza nel partito e nel 1946 si costituì Il Comitato
d'intesa sindacale (CIS) come organo permanente di collegamento fra le tre componenti, ma in realtà
rispondeva alla volontà del partito di mantenere il controllo sindacale.
Dopo la morte di Grandi fu esaltata la funzione sindacale delle ACLI (presidente divenne Storchi) e questo
pose le premesse per non pochi condizionamenti sul nuovo sindacato d'ispirazione cattolica dopo la
scissione del luglio 1948.
Cristina De Lillo Sezione Appunti
Relazioni tra sindacati e imprenditori in Italia dal fascismo ad oggi 8. La nascita della Coldiretti
Ad indebolire la componente sindacale cristiana ci fu la nascita al di fuori della CGIL unitaria della
Federazione dei coltivatori diretti su iniziativa di P. Bonomi e G. Germani il 31.10.1944.
Secondo Grandi invece i contadini dovevano far parte del sindacato unitario: questo avrebbe dato più forza
alla corrente cristiana e avrebbe attenuato la sua configurazione di classe. Di Vittorio vicino al mondo
bracciantile era contrario a questa scelta, ma Grandi riuscì ad ottenere con l'art.90 dello Statuto della CGIL
la possibilità per i contadini proprietari con non più di un bracciante alle proprie dipendenze di iscriversi al
sindacato.
Nel 1945 la Federazione si trasformò in Confederazione ma continuò a sussistere la contrarietà di farla
confluire nel sindacato unitario per vari motivi: già all'interno della
CONFAGRICOLTURA, la federazione aveva sviluppato una sua autonomia organizzativa e le sue strutture
burocratiche erano sopravvissute al fascismo.
Bonomi, inoltre, aveva sviluppato un orientamento anticomunista che difficilmente avrebbe reso facili i
rapporti con la corrente comunista maggioritaria della CGIL.
Del resto la crescita esponenziale degli iscritti alla COLDIRETTI che durò sino agli anni 80 (quando si
assistette allo svuotamento demografico della campagna) creò le condizioni per confermare l'indirizzo di
Bonomi.
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Relazioni tra sindacati e imprenditori in Italia dal fascismo ad oggi 9. La rinascita della Confindustria nel dopoguerra
Nell'estate del 1943 l'ingegner Friggeri si fece promotore della convocazione dell'assemblea ricostitutiva
della CONFINDUSTRIA: l'obiettivo era quello di giungere all'aggregazione di tutti gli industriali italiani in
una grande organizzazione. A tal proposito compì un viaggio nelle terre del nord dove si rese conto delle
profonde differenze politiche e sociali e della carica rivoluzionaria, pronta ad esplodere.
In queste aree erano forti le pressioni per ottenere gli aumenti salariali che incontravano l'ostilità degli
ambienti romani. Le divisioni all'interno delle ricostituite Unioni industriali, inoltre, erano profonde:
significativo fu il caso di Torino dove venne sottoscritto un accordo alla Fiat fra rappresentanze sindacali e
commissario straordinario con il quale venivano concessi aumenti dei salari minimi del 50%, che determinò
la rivolta della locale Unione. Da questa vicenda scaturì il convegno tra Unioni industriali e C.d.L.
dell'ottobre 1945 in cui gli industriali settentrionali del nord consentirono l 'introduzione della scala mobile
sull'indennità di· contingenza del salario per favorire il ritorno alla tranquillità nelle aziende.
Nel novembre del 1945 fu stipulato un accordo (che fu esteso alle province meridionali· nel 1946) presso il
Ministero del lavoro che istituiva la scala mobile e l'inquadramento delle
retribuzioni per zone e per gruppi merceologici. Le conseguenze furono due: la dinamica dei salari fu
agganciata al costo della vita determinato dall'andamento dei prezzi di un paniere di beni e servizi, e vennero
create le "gabbie salariali" ossia la suddivisione del territorio nazionale per aree e per settori merceologici,
da cui ebbe origine il diverso costo del lavoro e le differenti dinamiche retributive, creando ulteriori squilibri
tra nord e sud.
Questa ripartizione dipese dalle pressioni degli industriali del centro-sud che non volevano corrispondere i
salari che le maestranze del nord avevano ottenuto in condizioni di emergenza postbellica: questo determinò,
in particolare durante il boom economico degli anni '60, le forti migrazioni dal mezzogiorno verso il nord.
La ripartizione restò in vigore sino alla fine degli anni 60 (autunno caldo) quando i sindacati confederali
ottennero il suo superamento.
Dal '45 in poi, la CONFINDUSTRIA ebbe il pieno riconoscimento come rappresentante dell'industria
italiana. A conferma di questo ruolo, fu eletto come presidente l'armatore genovese A. Costa, un grande
imprenditore settentrionale rappresentativo di quella oligarchia industriale che dominava il panorama delle
imprese italiane. La sua vicinanza a De Gasperi gli consenti anche di influenzare le scelte economiche del
paese.
Lo statuto della CONFINDUSTRIA fu varato nel 1946 a Milano e restò in vigore nelle sue linee essenziali
sino alla riforma Pirelli del '70.
Dal punto di vista organizzativo si profilava un sindacato centralista che lasciava poco spazio alle
federazioni e si riservava i poteri in materia sindacale. Le organizzazioni territoriali prevalsero su quelle di
categoria. Ne]]'aprile 1947 nacque la CONFAPI, il sindacato della piccola impresa, poco rappresentata dalla
CONFINDUSTRIA dove gli interessi della grande industria avevano un peso maggiore: la
CONFINDUSTRIA cercò con successo di risolvere il problema creando un Comitato
centrale per la piccola impresa.
La dirigenza della CONFINDUSTRIA in questi anni ebbe una cultura liberi sta che si tradusse nel
perseguimento di alcuni obiettivi: lo sblocco dei licenziamenti; contenimento dei poteri e successiva
liquidazione dei consigli di gestione; rifiuto di ogni forma di programmazione e pianificazione economica;
opposizione allo Stato imprenditore. Questo pose la CGII in sintonia col partito liberale rispetto
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Relazioni tra sindacati e imprenditori in Italia dal fascismo ad oggi all'avversione per il dirigismo statale (come era accaduto col fascismo) e nel sostegno per il libero mercato.
La CGII sviluppò un buon rapporto anche con Ia DC, sia per gli orientamenti personali di Costa, sia perché
la DC, priva di una cultura economica moderna, condivise con la CGII la cultura economica liberale.
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Relazioni tra sindacati e imprenditori in Italia dal fascismo ad oggi 10. Le relazioni industriali in Italia del dopoguerra
Per un biennio dalla fine della guerra il punto centrale della politica confindustriale fu la questione dello
sblocco dei licenziamenti. Esso era considerato fondamentale per avviare la ristrutturazione industriale e la
conversione produttiva. Questo fine era strettamente legato alla piena restaurazione dei poteri della dirigenza
e della proprietà nelle aziende.
Tuttavia, in una situazione di iniziale debolezza politica successiva alla liberazione, il 27 settembre 1945, fu
firmato un accordo interconfederale che prevedeva per un periodo limitato di tempo, poi rinnovato, il blocco
dei licenziamenti. Il decreto emanato il 9 novembre 1945 che introduceva la CIG, si calò in un contesto
sociale in cui la rigidezza del sindacato nel difendere l'occupazione contr31stava con la necessità di favorire
la ristrutturazione produttiva.
Sul fonte salari, l'accordo interconfederale del 6 dicembre 1945 che introduceva la scala mobile, poi estesa
al centro - sud il 23 maggio 1946, ebbe effetti positivi nel contenere la conflittualità sociale. Il difetti
dell'adeguamento dei salari fu il l'appiattimento a causa della non differenziazione del punto di scala mobile
fra le categorie, anche se diverso per provincia, sesso ed età. Nel dopoguerra tale appiattimento si connetteva
allo sforzo del sindacato di sindacalizzare anche gli impiegati coinvolgendoli in contratti uni ci di categoria.
Dal giugno 1946, il tema dello sblocco dei licenziamenti divenne una questione non solo inerente le
relazioni industriali ma anche i rapporti col governo. Quando dopo in referendum istituzionale fu lanciato il
"premio della Repubblica" quale gratifica straordinaria per le maestranze la CGII, che era contraria, trattò
per scambiare la concessione del premio con lo sblocco dei licenziamenti. Esso fu autorizzato con D.L. 30
settembre 1946 ma ebbe applicazione pratica solo dopo l'estromissione delle sinistre dal governo (maggio'
47).
Le scelte di politica finanziaria e monetaria del governo necessarie per risanare la finanza pubblica e per
stabilizzare la lira, costrinsero gli imprenditori a fronteggiare il maggior costo del denaro con massicci
licenziamenti. Questo causò il fisiologico indebolimento del sindacato.
Che la CGII si trovasse in posizione di maggior forza, lo dimostrano sia l'accordo con la CGIL sulle
commissioni interne del 7 agosto '47, che riservava ad esse solo funzioni di rappresentanza del personale,
cancellando le competenze di organo di collaborazione alla produzione (ma questo era interesse anche della
stessa CGIL); sia la revisione della scala mobile del 28 novembre 1947 che era più favorevole alla parte
datoriale. Più complessa è la linea tenuta dalla CII verso le scelte politiche deflazionistiche note come "linea
Einaudi": si tratta di una linea favorevole e di appoggio per il significato di stabilizzazione economica e di
ricostruzione nel quadro politico-economico occidentale che il Piano Marshall comportava. All'interno della
CGII non mancarono però i malumori provenienti dalla piccola e media impresa che si sentivano colpite
dalla stretta monetaria. La conseguenza fu una perdita di iscritti, soprattutto piccoli imprenditori che non si
sentivano rappresentati da un'organizzazione dominata dalla grande industria.
Anche in riferimento al Piano ERP, il favore della CGII era attenuato dal timore di nuovi vincoli di gestione
economica provenienti dalla creazione degli istituti di amministrazione del Piano.
Comunque l'alleanza politica fra CGII e DC fu cementata dal netto favore che gli industriali italiani dettero
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Relazioni tra sindacati e imprenditori in Italia dal fascismo ad oggi alla battaglia anticomunista e dal loro supporto economico ed organizzativo necessario alla vittoria elettorale
della DC il 18 aprile 1948.
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Relazioni tra sindacati e imprenditori in Italia dal fascismo ad oggi 11. Dall'ANA alla CONFIDA
Per gli agricoltori l'iniziativa di ricostruzione della CONFAGRICOLTURA partì dal Mezzogiorno. Nel
giugno 1944 a Taranto, G. Scelsi fondò l'Associazione nazionale agricoltori (ANA). Nell'agosto successivo
l'ANA si fuse col gruppo romano prendendo il nome di FIDA modificato in CONFIDA (Confederazione
italiana degli agricoltori) nel gennaio '45.
Nel '49 riassunse il nome di CONFAGRICOLTURA (CGAI) a capo della quale fu eletto A.
Sansoni che gravitava nell'area repubblicana.
La confederazione godeva dell'appoggio del Partito liberale, ma non aveva alcun legame con Ia DC.
La questione della mezzadria scatenò un duro confronto tra Sansoni e De Gasperi (presidente del consiglio)
e al termine di una lunga trattativa si giunse al lodo del giugno del '46 che prevedeva il conferimento
aggiuntivo al mezzadro del 24% del prodotto di parte padronale in due anni e il 10% per opere di
ricostruzione e miglioria.
Ma Sansoni fu costretto a rigettare il lodo a seguito della rivolta della proprietà nelle regioni meridionali.
Ci furono varie iniziative dirette a far uscire il sindacato degli agricoltori dall'isolamento politico. Fra queste
ricordiamo la ricerca di accordi con la COLDIRETTI: erano accordi difficili visto che la CONFIDA non
aveva rinunciato ad organizzare i piccoli proprietari coltivatori ed era quindi in competizione con la
COLDIRETTI.
Nel '46 ci fu un accordo fra le due organizzazioni per la ricostituzione degli organismi consortili, ma ne
scaturì a competizione sul controllo degli stessi da cui dipendeva la possibilità di affermare la propria
leadership nel mondo agricolo: nella primavera del '49 le elezione dei consigli direttivi dei consorzi vide la
netta vittoria della COLDIRETTI che riuscì a conquistare un maggior numero di consorzi rispetto a
FEDERTERRA e CONFIDA.
Altra iniziativa fallimentare per la CONFIDA fu la costituzione del Centro interconfederale per la
ricostruzione economica (CIPRE). Era un organismo che nasceva dai sindacati datori ali presieduti da Costa
e Sansoni al fine di costituire un fronte unico dei produttori, ma i contrasti fra le parti erano notevoli e del
resto la CGlI non era disposta a seguire la CONFIDA nei suoi contrasti con la DC.
Dopo la rottura della DC con le sinistre e la nascita del monocolore De Gasperi, Sansoni percepì
l'opportunità di avvicinarsi alla DC e fu in questa occasione (nel giugno del ' 4 7) che si concluse la
questione della mezzadria con l'accettazione di un riparto accresciuto del 3%.
Le dimissioni di Sansoni dopo le elezioni politiche del '48 per favorire l'elezione del cattolico M. Rodinò
alla presidenza vanno inquadrate nella definitiva constatazione che il rapporto con la DC era decisivo così
come era indispensabile una convergenza con la COLDIRETTI.
Di qui scaturì il disegno di riunire in un'unica Confederazione CONFIDA e COLDIRETTI, e a tal fine fu
deliberato il cambio del nome in CGAI nel maggio '48 (applicato solo nel gennaio ' 49). Nel luglio '48,
inoltre, nacque l'accordo con l'organizzazione di Bonomi per stipulare assieme i contratti collettivi col
bracciantato.
La CGAI si diede una struttura federativa non centralisti ca e questo impedì di dare uniformità alle linee
politiche a causa degli ostacoli posti dalle organizzazioni locali.
Si trattava di un sindacato che da un lato mancava di un collante culturale e dall'altro mancava di una certa
omogeneità di interessi.
Cristina De Lillo Sezione Appunti
Relazioni tra sindacati e imprenditori in Italia dal fascismo ad oggi 12. I Consigli di Gestione
I Consigli di Gestione (CG) furono un istituto caratteristico del movimento sindacale del dopoguerra.
Essi erano il derivato dei CLN aziendali che si erano trasformati nelle funzioni.
Nelle fabbriche la forza comunista era dominante e talune forze politiche componenti tradizionali dei CLN
come PLI e P.d'A. erano quasi inesistenti. Quindi, la composizione politica dei CG rispecchiava la
composizione del sindacato unitario. Essi esercitarono funzioni sostitutive di una proprietà e di una
dirigenza aziendale che era stata allontanata dopo la fine della guerra per le compromissioni col passato
regime. Tramite i CG le maestranze operavano per l'azione di difesa dell'azienda e la conservazione del
posto di lavoro contro le richieste del padronato di riduzione del personale che accompagnavano la
ricostruzione postbellica.
Gli alleati guardavano con sospetto i CG e sostenevano la normalizzazione mediante il ritorno al
management nelle aziende.
Le tre diverse culture confluite nel sindacato unitario avevano progetti diversi per i CG.
Il PCI aspirava alla loro sopravvivenza come strumento di controllo politico nelle aziende, evitando tuttavia
che i CG assumessero responsabilità di cogestione perché ciò avrebbe contraddetto l'approccio classista nei
rapporti col padronato.
I socialisti vedevano nel CG una "cellula vivente della nuova democrazia" (Nenni). Un progetto politico
ardito di stabilizzazione istituzionale dei CG fu quello del Ministro dell'industria, il socialista R. Morandi
che attribuiva ai CG la funzione di controllo operaio nelle aziende e un ruolo centrale nella ricostruzione
economica in condizioni di parità con le rappresentanze padronali.
Il progetto Morandi si scontrò sia con gli industriali che intendevano riacquistare il pieno controllo della
gestione delle aziende, sia con il PCI che, avendo scartato la via della ricostruzione seguendo il modello di
pianificazione sovietica, riteneva non praticabile il progetto Morandi.
Anche la posizione democristiana era contraria al progetto Morandi perché in esso si ipotizzava una nascosta
possibilità di socializzazione dei mezzi di produzione.
Il sindacato cattolico sosteneva la collaborazione di classe in un'ottica solidaristica nella quale il conflitto
sociale non era considerato come qualcosa di fisiologico al progresso e connaturato con una società
industriale.
l CG sopravvissero alla normalizzazione del dopoguerra ma dopo la svolta politica del '47, lo sblocco dei
licenziamenti e la durezza delle RI, imboccarono la via del rapido declino.
Nel novembre '47, De Gasperi convocò una commissione (9 membri imprenditori, 9 CGIL, 5 esperti) per la
definizione dei termini della collaborazione dei lavoratori nella gestione delle aziende. Tuttavia la CGIL
rifiutò in quanto indisposta ad accettare il principio di pariteticità nella
composizione della commissione. Questo blocco definitivamente ogni ipotesi di cogestione ed il rinvio sine
die dell'applicazione dell'art.46 della Costituzione.
Cristina De Lillo Sezione Appunti
Relazioni tra sindacati e imprenditori in Italia dal fascismo ad oggi 13. La crisi del sindacato unitario
Tra l'autunno '45 e la primavera '46, la convivenza fra le tre maggiori correnti sindacali della CGIL si fece
sempre più difficile.
Gli organi collegiali della DC (e lo stesso De Gasperi) richiamarono più volte i sindacalisti cattolici affinché
rafforzassero la loro identità culturale e organizzativa nel sindacato unitario.
Al contempo il risultato elettorale del giugno '46 che no rispondeva alle aspettative togliattiane di leadership
comunista della sinistra di classe accentuò la pressione del PCI sul sindacato.
L'obiettivo di Togliatti era quello di conservare la presenza del PCI nel governo ma nello stesso tempo
rafforzare la capacità di mobilitazione comunista nel paese: lo strumento per questo scopo era il sindacato.
Infatti, fu lo stesso leader comunista a chiedere nel novembre '46 la fine del principio di pariteticità negli
organi direttivi del sindacato e la loro composizione secondo il criterio della rappresentanza proporzionale
alle correnti.
Il criterio della pariteticità aveva operato all'interno dei CNL per la lotta unitaria antifascista. È evidente che
il superamento di questo criterio avrebbe accentuato le tensioni interne in quanto diretto ad affermare la
leadership sindacale comunista. Inoltre, cominciava a divenire cruciale la questione dell'art.9 dello Statuto
della CGIL che attribuiva al sindacato la possibilità di azione politica anche tramite scioperi o di protesta o a
sostegno di determinati indirizzi politici e conferiva ad esso la possibilità di divenire strumento di
mobilitazione a sostegno della lotta di un partito politico. In quel momento storico l'alleanza obbligata ma
conflittuale tra DC, PC e PSIUP, rendeva cruciale l'uso di un potente strumento di mobilitazione delle masse
come il sindacato.
Inoltre, bisogna considerare che tra la fine del '46e i primi mesi del '47, il confronto fra le correnti sindacali
ruotò attorno alla definizione costituzionale della natura del sindacato e sul diritto di sciopero. L'art.39 della
Cost. fu il terreno di scontro decisivo fra le tre correnti sindacali.
Il primo problema fu la veste giuridico-istituzionale del sindacato per la quale i cattolici ipotizzavano
l'iscrizione obbligatoria mentre i comunisti desideravano fosse libero, privo di veste istituzionale,
associazione di fatto indipendente dallo stato e dotata di libertà di sciopero (Di Vittorio auspicava anche la
separazione fra azione sindacale e azione di partito ma Togliatti era contrario).
La seconda questione riguardava la capacità di firmare i contratti collettivi di lavoro: i comunisti
intendevano riservarla al sindacato che rappresentasse la maggioranza assoluta dei lavoratori; i sindacalisti
cristiani rifiutavano questa tesi perché da essa sarebbe scaturita la preminenza certa ai comunisti.
La soluzione fu un compromesso con la rinuncia dei sindacalisti cattolici al sindacato obbligatorio di diritto
pubblico e l'abbandono da parte dei comunisti del principio maggioritario: l'art.39 rispecchia questa
soluzione sia nei primi due commi sia nell'ultimo.
In sede di Costituente anche l'art. 40, che doveva regolare il diritto di sciopero, fu oggetto di contrasti: Di
Vittorio aspirava alla completa libertà di sciopero mentre i cattolici, preoccupati per un suo uso come
strumento di lotta politica, intendevano regolarlo soprattutto nel settore dei servizi pubblici. Alla fine
prevalse la formulazione di La Pira che pur garantendo il diritto, ne rinviava l'applicazione alla legislazione
ordinaria.
Cristina De Lillo Sezione Appunti
Relazioni tra sindacati e imprenditori in Italia dal fascismo ad oggi 14. Dal congresso di Firenze del 1947 alla rottura dell'unità
sindacale
La conflittualità del sindacato aumentò nell'ultimo anno di sopravvivenza dell'unità come conseguenza della
rottura dell'alleanza tripartita, con l'estromissione delle sinistre dal governo nel maggio del '47, e delle scelte
di politica internazionale cui l'Italia era chiamata nel Piano Marshall.
Il congresso di Firenze nel giugno del '47 (il primo e l'ultimo congresso della CGIL unitaria ) si tenne
quando la rottura dell'alleanza politica era già consumata. Il dibattito ruotava attorno all'art. 9 dello Statuto,
che riguardava la questione degli indirizzi politici del sindacato e delle azioni di lotta.
I cattolici volevano una radicale riforma di questo articolo per evitare che il sindacato divenisse strumento di
lotta contro il governo.
I socialisti pur facendo parte della maggioranza (nella Confederazione) sostenevano i cattolici allo scopo di
conservare il pluralismo nel sindacato e attenuare l'egemonia comunista.
Anche per Di Vittorio l'unità andava tutelata sia nell'interesse della classe operaia, sia perché era l'unico
mezzo per attenuare la pressione del PCI sulla Confederazione. Egli contrattaccò alle accuse di uso politico
del sindacato e di mancato rispetto delle minoranze che venivano dalla corrente cristiana, evidenziando a sua
volta che la COLDIRETTI era fuori dalla CGIL e che le ACLI avevano assunto sempre più una piega di
natura sindacale. Furono solo schermaglie.
Si procedette alla riforma dell'art. 9 che prevedeva la maggioranza di tre quarti per qualunque decisione
politica assunta dal sindacato e per la proclamazione degli scioperi di tale natura.
Ma all'elezione del direttivo i comunisti (38) e i socialisti (19) ottennero una quantità di seggi superiore ai
tre quarti, pertanto era evidente che la riforma era stata insufficiente nel dare alle minoranze il diritto di veto
nei confronti di azioni politiche antigovernative.
I rischi di scissione cominciavano a divenire consistenti e in questo contesto nacque il progetto della Carta
dei diritti e dei doveri delle minoranze, meglio nota come "modus vivendi" elaborata da Di Vittorio e il
socialista Santi, nella quale si accettava l'esplicito dissenso delle minoranze, ma si faceva divieto di azioni
che ostacolassero deliberati della maggioranza.
Togliatti criticò questo compromesso al congresso del PCI del gennaio '48.
In realtà, il modus vivendi, votato nel febbraio '48 dall'esecutivo con l'astensione dei democristiani, non
ebbe alcun effetto concreto perché altre importanti decisioni alle quali fu chiamato il sindacato (Piano ERP,
battaglia elettorale e conseguente scelta di campo internazionale) ne resero nulla l'efficacia.
In quegli anni, come detto, il sindacato e tutto il paese furono chiamati ad una scelta di campo nel contesto
politico internazionale a seguito della rottura dei rapporti diplomatici fra URSS e USA nel luglio del '47: o si
optava per una ricostruzione economica nei contesto dell'economia di mercato occidentale o ci si allineava a
posizioni affini all'Unione Sovietica.
Pastore e altri esponenti della minoranza della CGIL parteciparono da subito alla conferenza di Londra
organizzata dal Trade Union Congress (TUC) sul Piano Marshall. Di Vittorio, che inizialmente era contrario
ad una partecipazione della CGIL alla conferenza di Londra, cercò di far pressione su J. Carey leader del
Cristina De Lillo Sezione Appunti
Relazioni tra sindacati e imprenditori in Italia dal fascismo ad oggi CIO (Congress of IndustriaI Organizations, il secondo sindacato americano che aveva al suo interno una
minoranza comunista), per portare il quest'ultimo sindacato sulle posizioni della CGIL, ma fallì: il CIO non
poteva opporsi agli indirizzi del Dipartimento di Stato.
Le elezioni del 18 aprile fecero esplodere la conflittualità interna a causa del forte sostegno che ogni
corrente sindacale dette al proprio partito di riferimento. La vittoria della DC e la sconfitta delle sinistre
indussero i comunisti a rafforzare il controllo del sindacato determinando una netta divaricazione interna.
II 18 giugno le minoranze democristiana, repubblicana e saragattiana della CGIL firmarono l'Alleanza per
l'unità e l'indipendenza dei sindacati. Fu un'iniziativa di Pastore che prefigurava la rottura delineando la sua
idea di sindacato autonomo, anticomunista e non confessionale con un forte pluralismo interno.
Cristina De Lillo Sezione Appunti
Relazioni tra sindacati e imprenditori in Italia dal fascismo ad oggi 15. La scissione dei sindacati del luglio 1948
L'uscita della corrente democristiana dalla CGIL avvenne a seguito dello sciopero di protesta per l'attentato
a Togliatti deliberato dal direttivo della Confederazione la sera del 14 luglio 1948. La mattina seguente, la
corrente di Pastore dichiarò che lo sciopero era in contrasto con l' art.9 dello statuto e ne chiese la chiusura
entro la mezzanotte. Ma tali richieste non furono prese in considerazione: la maggioranza dell'esecutivo
proclamò la conclusione dello sciopero per le 12 del 16 luglio.
Questo consentì a Pastore di affermare che la maggioranza aveva provocato con la propria delibera la rottura
dell'unione sindacale.
Nel frattempo giunse la notizia da parte della corrente democristiana che le ACL! stavano pensando ad
un'autonoma organizzazione.
Di Vittorio espulse dal direttivo i membri della corrente cattolica per non aver partecipato allo sciopero
ponendosi fuori della disciplina sindacale.
Si trattava, in effetti, di schermaglie che nascondevano l'obiettivo di Pastore di fondare un'autonoma
Confederazione e lo scopo dei comunisti di riacquistare il controllo politico della Confederazione, pur
mantenendo la finzione dell'unità.
La proclamazione dello sciopero del 14 luglio adotta come causa della scissione fu, in realtà, pretestuosa: la
corrente cristiana aveva scelto la via occidentale della ricostruzione nell'ambito del piano Marshall
ponendosi in contrasto con la CGIL. Resta, poi, da considerare le pressioni esterne sulla corrente
democristiana che provenienti dall'ambasciata americana di Roma e dalle ACLI che spingevano verso la
scissione. Infatti, T. Lane, ex sindacalista della AFL American Federation 0f Labour, e l' ambasciatore
americano Dunn che erano in buoni rapporti con Pastore: l'AFL puntava ad un sindacato anticomunista che
comprendesse tutte le minoranze della CGIL.
Questo sostegno americano era decisivo per Pastore per i finanziamenti che potevano provenire dal
sindacato d' oltre atlantico e la conseguente possibilità di sottrarsi ai condizionamenti delle ACLI e della
DC. Ma il TUC e il CIO erano contrari alla scissione.
Anche all'interno della DC i pareri erano diversi: Fanfani coltivava la tesi irrealistica della possibile
conquista dall'interno della maggioranza; Taviani puntava al grande sindacato di tutte le componenti
anticomuniste ma con forte ipoteca del partito; la dirigenza delle ACLI aveva maturato il disegno della
scissione in funzione della creazione di un sindacato confessionale.
Cristina De Lillo Sezione Appunti
Relazioni tra sindacati e imprenditori in Italia dal fascismo ad oggi